Vittoria Lenzi, Fabio Cotti – Studio Associato RiPsi
Ormai stiamo vivendo la realtà Coronavirus da oltre due mesi e l’isolamento forzato richiestoci per tutelare la salute nostra e degli altri ha impattato fortemente sui nostri equilibri di vita: le routine quotidiane si sono spezzate, il contatto con la gente è stato interrotto per lungo tempo e questo ha avuto un’importante ripercussione sui nostri sistemi emotivi e relazionali.
E sebbene possiamo percepire le nostre case come “gabbie” che giorno dopo giorno diventano sempre più strette, rimangono comunque luoghi sicuri in cui sentirci protetti.
Purtroppo, non è così per tutti. Ci sono altre paure e minacce che sono sempre attuali e che ogni giorno mettono a rischio la vita delle persone, con o senza Coronavirus.
Non possiamo quindi dimenticarci di tutte quelle donne che vivono la loro casa e la convivenza forzata h24 coi loro partner con estrema angoscia, poiché vittime di violenza domestica.
LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE: I DATI
La violenza domestica è una forma di violenza di genere contro le donne, una piaga sociale che il Consiglio d’Europa descrive come “violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata”. (1)
Si tratta quindi di un fenomeno che trova radici e pretesti nella cultura della disparità tra i generi, ancorata a stereotipi e pregiudizi maschilisti che vedono la donna ancora oggi come una persona subordinata e spesso “oggettificata”.
Il rapporto mondiale dell’OMS (2013) afferma che la violenza contro le donne rappresenta un problema di salute pubblica che globalmente colpisce circa 1/3 di tutte le donne. Sebbene la stima reale rimanga incerta, poiché si tratta di un fenomeno ampiamente sommerso, i dati numerici sono comunque impressionanti. In Italia, ad esempio, le statistiche Istat (2014) mostrano che il 31,5% (circa 7 milioni) di tutte le donne italiane ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. E le forme più gravi di violenza sono esercitate proprio da partner, parenti o amici. (2,3)
La violenza domestica, infatti, è definita come “tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima”. L’Intimate Partner Violence è quindi una sottocategoria della violenza domestica, in quanto raccoglie quegli atti di violenza agiti da un partner o da un ex-partner della vittima, trattandosi di un fenomeno con dimensioni epidemiche e presentandosi come una delle forme più gravi per i costi sociali. (1,4)
E ad oggi, i dati internazionali ci dicono tutti la stessa cosa: l’isolamento e la convivenza forzata hanno portato all’aumento dei livelli di IPV (Intimate Partner Violence). In Brasile e in Cina, proprio nella provincia dell’Hubei, i casi di violenza domestica sono aumentate del 50% rispetto all’anno precedente, in Francia e in Spagna l’incremento è stato finora del 30% e la Turchia ha superato il 38%. Anche in Italia la situazione non è molto diversa e anzi si sta denunciando una riduzione tra il 50 e l’88% delle richieste di aiuto, sia attraverso le linee telefoniche preposte sia nei Centri di Antiviolenza. (5)
LE FORME DELLA VIOLENZA
La violenza domestica si caratterizza generalmente per essere un fenomeno multi-fattoriale e raramente si manifesta attraverso una sola tipologia. Come indicato dall’articolo 3 della Convenzione del Consiglio d’Europa, vengono riconosciute diverse forme di violenza: (1)
- Violenza psicologica: atteggiamenti intimidatori, minacciosi, vessatori e denigratori
- Violenza fisica: uso di qualsiasi atto violento volto a far male o a spaventare la vittima, non solo come azioni che provocano lesioni fisiche, ma anche distruzione di oggetti
- Violenza sessuale: molestie sessuali, aggressione sessuale agita con costrizione e minaccia, costrizione alla prostituzione
- Stalking e cyber-stalking: la legge n. 38/2009 ha introdotto con l’art. 612-bis C.P il reato di atti persecutori, con cui si punisce chiunque che “con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”
- Violenza economica: si tratta di comportamenti tesi ad impedire che la partner diventi economicamente indipendente, ad esempio imponendo il divieto di lavorare, privandola del controllo delle proprie finanze, mancando all’assolvimento degli impegni economici assunti
- Violenza culturale o da pratiche tradizionali: si tratta di tutte quelle forme di violenza considerate normali componenti del tessuto culturale di riferimento, ad esempio crimini d’onore, pratiche rituali quali le mutilazioni genitali femminili, matrimoni forzati
- Vittimizzazione secondaria: si intende il complesso delle ripercussioni negative che possono derivare alla vittima di violenza dal contatto con le strutture socio-sanitarie, polizia, magistratura, come l’essere colpevolizzate o trattate con indifferenza, freddezza o sospetto, con l’impressione che la propria credibilità o la propria moralità siano messe in dubbio.
Conflitto versus Violenza
Elemento distintivo della violenza domestica, però, è che si tratta di una forma relazionale caratterizzata da una disparità tra le parti. La violenza, infatti, non può essere sovrapposta ad un’esperienza conflittuale, in quanto l’assetto relazionale ruota attorno ad un gioco di potere dove una parte prevarica unilateralmente sull’altra. La responsabilità dei fatti non è condivisa ma è di chi agisce il comportamento violento. E soprattutto, si tratta di una situazione che difficilmente può essere mediata. Infatti, proporre una mediazione in un caso di violenza domestica, in cui le parti non sono in posizioni paritarie, significherebbe costringere la vittima ad individuare una negoziazione o un compromesso con il maltrattante, portandola così a minimizzare l’impatto e la gravità della violenza stessa. Un intervento di questo tipo, quindi, non avrebbe una funzione tutelante, bensì andrebbe a sfavore della vittima, che verrebbe così sottoposta a vittimizzazione secondaria.
LE CONSEGUENZE DELLA VIOLENZA DOMESTICA
L’esperienza continuativa di queste violenze, al di là delle possibili conseguenze fisiche e/o economiche, ha sempre un risvolto psicologico. In tutte le donne vittime di violenza, infatti, si possono riscontrare effetti psicologici di natura traumatica. Numerose ricerche hanno confermato che depressione e sintomatologia PTSD (Disturbo Post Traumatico da Stress) siano i disturbi psicologici maggiormente associati ad IPV (Intimate Partner Violence), mostrando inoltre una frequente comorbidità (circa il 40% delle donne che soffrono di PTSD hanno ricevuto anche una diagnosi di disturbo depressivo maggiore). (6,7)
A questo si aggiungono possibili sintomi ansiosi, disturbi del comportamento alimentare, l’attuazione di comportamenti a rischio come l’abuso di alcol e/o sostanze fino a raggiungere comportamenti suicidari o para-suicidari. Tutte le donne, però, arriveranno a sperimentare bassa autostima e senso di impotenza, con un conseguente alto livello di allarme e paura per la propria vita. Il mantenimento di un costante ed elevato stato di allerta e di stress però può avere una serie di ricadute ed effetti negativi a livello fisiologico, ad esempio intaccando le difese immunitarie del soggetto rendendolo più vulnerabile a problematiche e patologie secondarie, che a prima vista non sono immediatamente riconducibili alla violenza subita ma ne dipendono a livello psicosomatico. (2)
La violenza assistita
La violenza domestica può essere perpetrata all’interno di un contesto familiare che può includere la presenza di bambini/bambine che assistono, sentono o percepiscono gli effetti della violenza in famiglia. La cosiddetta violenza assistita è quindi un aspetto estremamente drammatico della violenza domestica, perché compromette la salute fisica e psicologica dei minori ma ancora di più perché questi minori diventeranno uomini e donne che potrebbero riproporre violenza anche nel loro futuro. La letteratura scientifica, infatti, parla chiaramente di trasmissione intergenerazionale della violenza, che suggerisce che un bambino vittima di violenza assistita sia più a rischio di diventare un uomo violento e che una bambina abbia un maggior rischio di diventare a propria volta una donna vittima di violenza. (9,10,11)
Proprio per questo la violenza domestica ha un risvolto traumatico ancora più tragico, poiché si tratta di una violenza perpetrata all’interno di una relazione che dovrebbe essere di cura e di amore reciproci. Non c’è quindi solo il trauma della violenza in quanto agito, ci sono anche il trauma e la delusione derivati dalla rottura di un legame interpersonale estremamente importante.
Sebbene siano ben chiare le possibili conseguenze derivate da esperienze traumatiche di violenza, specialmente se cronica, non possiamo invece giungere all’identikit dell’uomo maltrattante né tantomeno della donna vittima. La violenza domestica è un fenomeno trasversale che può colpire qualsiasi donna e viene perpetrata da uomini di ogni tipo. Alcune ricerche,tuttavia, si sono concentrate sulla possibilità di delineare il profilo di rischio degli uomini autori di violenza. Nel 1994 Monroe e Stuart e nel 2003 Dixon e Browne hanno individuato 3 macro-categorie di uomini maltrattanti.
Sulla base di variabili di personalità prossimali e distali, gli autori in generale riconoscono in questi uomini autori di reato una certa difficoltà a gestire rabbia e frustrazione; una personalità governata da un’ossessione di potere e controllo, a causa di un senso di insicurezza latente; scarsa capacità empatica e di consapevolezza rispetto alla gravità delle loro azioni. A questi elementi si aggiungono ulteriori fattori di rischio contestuali che possono creare un clima di stress e togliere il freno all’impulsività: una storia con precedenti penali, un esplicito atteggiamento negativo e denigratorio nei confronti delle donne, la presenza di problemi economici/lavorativi, l’abuso di sostanze, la presenza di disturbi mentali… (12,13).
USCIRE DALLA RELAZIONE VIOLENTA
Uscire da una relazione violenta è più facile a dirsi che a farsi. La letteratura indica che all’interno di una relazione di coppia si crea un vero e proprio incastro di bisogni e desideri che vengono reciprocamente proiettati e soddisfatti. Proprio per questo la violenza nella coppia segue un circolo vizioso, che la porta nel tempo ad autoalimentarsi, sulla base di un ideale romantico che fa prevalere il “noi” sull’ “io”. La violenza spesso non viene percepita come atto lesivo, ma piuttosto in maniera distorta come una manifestazione alterata d’amore e veicolo di intimità, a causa anche della gradualità delle violenze che, pur nell’escalation di gravità e di frequenza degli agiti, porta i partner relazionali a normalizzare l’esperienza. E anche quando le donne si rendono conto di vivere una relazione violenta, spesso c’è la tendenza a salvaguardare il rapporto e l’ideale di famiglia, con forti sentimenti di ambivalenza che le intrappolano ancora di più, portandole a negare e decidere di non denunciare quanto subito. (14).
La via d’uscita in realtà c’è. Il primo passo consiste nel trovare la forza di raccontare la propria storia di violenza, cercando un primo contatto d’aiuto che, grazie all’ascolto non giudicante e accogliente, possa trasformarsi in una relazione di supporto all’uscita dalla violenza. Per sostenere un percorso d’uscita lungo e dispendioso, è fondamentale poter usufruire di un supporto che si declina in tanti modi, dalla messa in protezione al sostegno psicologico, dall’assistenza legale e lavorativa all’aiuto alla maternità.
Il supporto alle donne vittime di violenza è garantito dalla rete Di.Re, un network nazionale che mette in contatto tutti i centri antiviolenza e le case rifugio presenti su tutto il territorio italiano. Gli aiuti e i servizi sono presenti anche telefonicamente e su app (App YouPol, App MyTutela, App 1522).
https://www.direcontrolaviolenza.it
https://www.1522.eu/mappatura-1522
References
(1) Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, Istanbul, 11 maggio 2011
(2) WHO, Global and regional estimates of violence against women, 2013
(3) Istat, Il numero delle vittime e le forme della violenza, 2014
(4) E.G. Krug, J.A. Mercy, L.L. Dahlberg and A.B. Zwi, The world report on violence and health, The Lancet, 2002, n.360, pp. 1083-1088
(5) Global Times, 10 marzo 2020; BBC, 6 aprile 2020; Lettera43.it, 11 aprile 2020
(6) Golding, J.M. Intimate Partner Violence as a Risk Factor for Mental Disorders: A Meta-Analysis. Journal of Family Violence 14, 99–132 (1999)
(7) J.C. Campbell, Health consequences of intimate partner violence, The Lancet, 2002, n. 359, pp. 1331-6
(9) M. Micheli, E. Di Rienzo, La bella e la bestia: il significato relazionale della violenza, atti del Convegno CISMAI 2003
(10) CISMAI, Requisiti minimi degli interventi nei casi di violenza assistita da maltrattamento sulle madri, 2017
(11) L. Dixon, K. Browne & C. Hamilton-Giachritsis, Patterns of Risk and Protective Factors in the Intergenerational Cycle of Maltreatment, Journal of Family Violence, 2009, n. 24, pp. 111–122
(12) H. Monroe, A. Stuart, Tipologies of male batterers: three subtypes and difference among them, Psychological Bulletin, 1994, n. 16, pp. 476-497
(13) A. Baldry e F. Roia, Dai maltrattamenti all’omicidio. La valutazione del rischio di recidiva e dell’uxoricidio, FrancoAngeli, 2006
(14) L.E. Walker, The Battered Woman, 1979