Sara Pietrafuso, Fabio Cotti – Studio Associato RiPsi

La sindrome fibromialgica, o fibromialgia (FM), è una patologia a carattere cronico caratterizzata dalla presenza di dolore diffuso a livello muscolo-scheletrico.

Essa è stata definita dal gruppo italiano di studio della fibromialgia (Italian Fibromyalgia Network) “una sindrome da sensibilizzazione centrale, caratterizzata da disfunzioni nei neurocircuiti che coinvolgono la percezione, trasmissione e processazione degli stimoli nocicettivi afferenti con prevalente manifestazione di dolore a livello dell’apparato muscolo scheletrico. In associazione al dolore possono esserci una moltitudine di sintomi (astenia, disturbi del sonno, dolore addominale ecc.) che sono comuni ad altre sindromi da sensibilizzazione centrale”.

Si tratta di un quadro sindromico che, seppur descritto storicamente con termini differenti entro la storia della medicina, ha avuto una definizione solo in tempi recenti essendo stato soggetto a revisioni periodiche e a plurimi inquadramenti che hanno determinato una significativa difformità tra i clinici rispetto ai criteri diagnostici utili all’individuazione della sindrome e agli approcci terapeutici, in parte esistente ancora oggi.

Infatti, solo nel 1993 l’OMS ha riconosciuto ufficialmente la FM, includendola nel codice ICD (International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems).

Rispetto alla situazione italiana, la fibromialgia è rubricata nel codice ICD 9-CM come “Fibromialgia e reumatismi extraarticolari diffusi non specificati” (cod.729.0), ma essa non rientra ancora nell’elenco delle patologie a carattere cronico per le quali è prevista l’esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria, né risultano linee guida rispetto ai percorsi terapeutici e di presa in carico dei pazienti.

Sono certamente in corso dibattiti e gruppi di lavoro, entro la sanità nazionale e regionale, per trovare accordo su questi punti e definire percorsi di cura condivisi, così come specifiche misure di tutela e previdenza sociale e sanitaria per i pazienti.

Si tratta pertanto di una patologia per la quale non è ancora individuabile una processualità organica precisa, né caratteristiche proprie a livello laboratoristico e strumentale, potendosi delineare solo sulla presenza dei sintomi riferiti dal paziente, peraltro multiformi e con una spiccata variabilità intra e inter-individuale.

L’entità del dolore percepito a livello soggettivo è definita dal reumatologo attraverso un processo di valutazione clinica che comprende, oltre che una attenta anamnesi remota e attuale del caso, anche la digitopressione di specifici tender points (TPs, punti dolenti) e l’utilizzo di questionari e scale di valutazione.

Unitamente al dolore diffuso da almeno tre mesi, il paziente con fibromialgia può accusare altri sintomi clinici quali astenia diffusa, rigidità, cefalee, parestesie, alterazioni cutanee, turbe della sensibilità e dell’equilibrio, problematiche gastro-intestinali, disturbi del sonno, affezioni genito-urinarie, stati soggettivi rubricati nelle diverse serie sintomatiche “ansioso-depressive”, disturbi cognitivi (difficoltà mnestiche e di concentrazione, anomia, ecc.).

La presenza di altra sintomatologia, in associazione al dolore cronico, contribuisce sensibilmente all’impatto della malattia sulla qualità di vita del paziente e impone al clinico un’attenta diagnosi differenziale che escluda altre affezioni comportanti dolore cronico (es, artrite reumatoide, lupus sistemico eritematoso, spondiloartrite, altre neuropatie).

In questo articolo ci concentreremo in particolare sulla dimensione psichica che attraversa e interseca tanto la definizione diagnostica quanto l’approccio terapeutico della FM, a partire dal rilievo della frequente co-morbilità tra il complesso quadro di tale patologia e alcuni disagi propri della sfera psichica, tra i quali disturbi d’ansia, depressione (in questo caso con una prevalenza di tre volte maggiore rispetto alla popolazione generale) e disturbo post-traumatico da stress (PTSD).

Rispetto alla frequente associazione dei sintomi della FM con i disturbi psicopatologici sopra citati al momento si danno solo delle ipotesi, elaborate in ambito medico-scientifico ed entro il vasto campo della psicologia clinica e della salute, fondate sul fatto che dolore cronico non maligno (così come altre affezioni dove è ipotizzabile una processualità psico-somatica) e determinate condizioni psicopatologiche possano condividere processi patogenetici, fattori predisponenti e meccanismi di influenza reciproca.

L’intraducibilità del dolore del corpo

Il dolore rappresenta uno dei luoghi dell’umano più connotati nei termini di una strutturale problematicità dialettica.

Ciò significa che, letteralmente, il dolore mantiene una quota di intraducibilità, di non trasmissibilità all’altro, rimanendo confinato in metafore ed espressioni evocative che riescono a definirlo solo in parte, provvisoriamente. Per riprendere un’espressione tratta dal lessico lacaniano, il dolore, per questa sua caratteristica intrinseca, può essere accostato alla figura del reale, quella compagine della vita psichica in cui possiamo collocare le esperienze più enigmatiche, come le pulsioni e il godimento del corpo.

Per questo, il dolore costituisce forse uno dei campi più inafferrabili dell’esistenza, mantenendosi sempre al bordo di un discorso sociale come quello attuale, dominato da ideali di salutismo ed efficientismo, dove esso sembra non poter avere un posto.

Il soggetto sofferente, fiaccato nel corpo e provato a livello psicologico, vede notevolmente ridotto il suo funzionamento sociale e professionale e, spesso, avverte le ripercussioni del suo affaticamento anche nella vita familiare.

La persona con fibromialgia, e ancor più chi ne porta i sintomi ma non ha ancora avuto la conferma diagnostica, si trova spesso al confronto con l’effetto perturbante del suo dolore sull’altro sociale, incontrando diffidenza verso la necessità espressa di tempi più dilatati per portare a termine le attività quotidiane e le conseguenti difficoltà nei luoghi di lavoro dinanzi al bisogno di astenersi per malattia. La patologia è ancora poco o mal conosciuta a livello della socialità più estesa, ammantandosi di false credenze e fraintendimenti.

La mancanza di un dato organico “forte” alla base del dolore della FM determina ancora, nel discorso sociale corrente che inevitabilmente intercetta la vita dei pazienti, toni più o meno velati di colpevolizzazione e svalutazione, schiacciando la complessità psico-organica soggiacente al quadro clinico a una non meglio definita forma di patologia psicogena a carattere ipocondriaco e imperniata sulla moltiplicazione del lamento.

Questa lettura propria del senso comune, ma che utilizza più o meno propriamente il lessico psicologico, è molto comune, producendo nel vissuto dei pazienti un aggravio di frustrazione notevole.

Espressioni verbali ridondanti, quali “è tutta testa”, “se dagli esami non emerge niente non può stare così male”, lasciano trasparire un’immagine del paziente con FM come un soggetto colpevole, bugiardo, esagerato nella manifestazione del suo disagio.

Da qui, la condizione di progressivo impoverimento delle relazioni sociali che incontra spesso chi soffre di questa sindrome, aspetto che, a sua volta, va a condizionare negativamente l’umore, la qualità del sonno, l’assetto energetico e motivazionale del paziente, andando ad accentuare la sintomatologia algica.

La presa in carico multidisciplinare

La presa in carico terapeutica del paziente fibromialgico, ricalcando il carattere multiforme e sfaccettato della sindrome, si delinea sempre di più come un percorso integrato di interventi multi-disciplinari, dove al fianco delle terapie fisiche e riabilitative si inserisce l’intervento psicoterapeutico, l’educazione del paziente e la terapia farmacologica.

Quest’ultima tendenzialmente comprende, oltre ai FANS e ad altri tipi di antidolorifici, anche miorilassanti, anticonvulsivanti, ansiolitici e antidepressivi SSRI.

Di certo non esiste una terapia “standard”, né tipologie di farmaci specificamente formulati per il trattamento dei sintomi della FM: ogni paziente, sulla base dell’incidenza soggettiva del dolore e delle sue manifestazioni, potrà valutare insieme al curante la formulazione che si rivelerà più adatta al proprio caso.

Il processo di personalizzazione e individualizzazione della cura non si realizza soltanto evitando, sul lato del curante, la tentazione verso terapie protocollari, ma soprattutto attraverso una spiccata integrazione degli interventi in direzione multidisciplinare o multimodale.

Le terapie fisiche e riabilitative (fisioterapia, idrochinesiterapia, balneoterapia, TENS, ionoforesi, discipline sportive e ginnastiche dolci) andranno ad intrecciarsi all’intervento psicologico che, trasversalmente ai diversi approcci psicoterapeutici, avrà come punti cardine l’accoglienza della complessa situazione emotiva del paziente con dolore cronico, la gestione delle ideazioni disfunzionali centrate sul soma e sul funzionamento corporeo, la valutazione di possibili condizioni di disagio psicologico potenzialmente favorenti lo scatenamento sintomatico (es., traumi, lutti), la possibilità di mettere in parola il vissuto personale spesso minimizzato e frainteso e di articolarlo alla storia di vita, la promozione di più ampie risorse adattive dinanzi alla mutata condizione psico-fisica, il recupero di un assetto motivazionale più equilibrato, necessario per affrontare i numerosi interventi terapeutici.

Il ruolo della psicoterapia

Dipanando le storie cliniche dei pazienti con fibromialgia emerge con frequenza che il confronto con la dimensione più propriamente psicologica che accompagna il disturbo sia giunto puntualmente a seguito della proposta da parte del curante di intraprendere una psicoterapia o, in ogni caso, una consulenza psicologico-clinica.

Perché andare da uno psicoterapeuta quando il problema centrale della FM è legato al corpo dolente?

In genere, i pazienti possono riconoscere facilmente una serie di disagi della sfera psicologica come l’ipervigilanza ansiosa, l’affetto depressivo, le ideazioni disfunzionali e ossessive centrate sul soma, l’esaurirsi delle risorse motivazionali e dell’attivazione. Tuttavia, questi sintomi sono tendenzialmente vissuti come mere conseguenze delle algie generalizzate e del loro condizionamento svuotante sul funzionamento pre-morboso: come dire, se il dolore imperativo non ci fosse, non ci sarebbe nemmeno questo “montaggio” di disagio psicologico. Questa lettura, sicuramente fondata, non può tuttavia esaurire la lettura della complessa compagine psico-organica alla base della sindrome.

Difficilmente, ad esempio, viene ammessa anche solo l’ipotesi che una condizione depressiva potesse essere latente e preesistente per varie ragioni, per poi rendersi manifesta nell’esordio invalidante del sintomo algico, oppure che un lutto complicato o un trauma psichico non elaborato possano aver concorso alla produzione delle condizioni alla base della FM, interagendo in modo complesso con altre variabili psico-organiche.

La psicoterapia rappresenta una opportunità importante per il paziente per prendere consapevolezza di quanto gli sta accadendo e per trovare dinanzi a ciò delle modalità assolutamente personali di risposta.

Uno spazio di elaborazione soggettivo, accompagnato da un professionista esperto, diventa un luogo “protetto” in cui trovare sostegno e recuperare le energie emotive necessarie per affrontare i percorsi di cura e per dispiegare le risorse adattive utili alla gestione delle esigenze del quotidiano, progressivamente più complicato e faticoso per chi è affetto da fibromialgia.

Esistono specifici approcci psicoterapeutici (di matrice cognitivista e cognitivo-comportamentale) che si concentrano in particolare sull’individuazione dei pensieri e dei pattern emozionali disfunzionali che accompagnano l’esordio o l’amplificazione del sintomo algico, fornendo al paziente un corpus di strategie di coping  per far fronte al disagio e ai comportamenti di evitamento dettati dall’ansia anticipatoria centrata sullo scatenamento del dolore.

In ogni caso, al di là degli specifici approcci psicoterapeutici, risulta fondamentale accompagnare il paziente, che magari non ha mai avuto accesso ad una consultazione psicologica né sa bene cosa aspettarsi, ad un percorso graduale di integrazione della dimensione più propriamente psicologica entro il tema del dolore corporeo attraverso interventi di supporto e facilitazione, che permettano alla parola del soggetto di dirsi ed esprimersi liberamente, integrando il discorso sul dolore del corpo con la questione del dolore psichico, le cui assonanze sono state rilevate anche dallo stesso Freud.

Attraverso la psicoterapia, dunque, il paziente potrà focalizzarsi tanto sull’attualità dei suoi disagi, individuando insieme al terapeuta gli strumenti utili per contenerne la sofferenza (anche attraverso l’utilizzo di tecniche di rilassamento, visualizzazione, training autogeno), tanto sul suo passato, in modo da rivedere e dare valore alle risorse e alle fatiche della sua storia personale.

C’è un valore profondo nel rivedere un evento e poterlo soppesare nella sua portata traumatica, anche se “ormai è passato”, “non era poi così grave” o “non si può più rimediare”; tale importanza non è ascrivibile solo alla collocazione soggettiva dell’esordio di una patologia ancora così enigmatica come la FM, ma più in generale all’opportunità di rendere la vita interiore più soggettivata, per riprendere una terminologia di estrazione psicoanalitica, ovvero più vitale e consapevole.

Ciò significa che il dolore del corpo può dire della soggettività singolare del paziente con FM, aprendo delle faglie in cui ritrovare, con il supporto del terapeuta, la trama della sua vicenda personale, dove il dolore (fisico e psichico) ha senz’altro un posto preciso, sapendola rileggere in modo nuovo.

Le impasse della psicoterapia e lo psicoterapeuta “in rete”

Il dolore proprio della sindrome fibromialgica ha spesso carattere imperativo.

Domina il corpo, limitandone le possibilità di movimento, condiziona in una certa misura il discorso del soggetto dettando le sue significazioni chiuse, rigide, ridondanti.

E’ esperienza comune entro i percorsi psicoterapici con pazienti FM lo scontro, dopo un circuito di elaborazioni anche molto evocative intorno a vissuti ed esperienze soggettive, contro il muro incrollabile rappresentato dal dolore, quel nocciolo duro non riducibile al discorso: “però mi fa sempre male lo stesso”, “il dolore non cambia”.

Si tratta dei momenti in cui la terapia rivela la sua maggiore fragilità, il terapeuta si trova dinanzi a una quota somatica non dialettizzabile e il paziente può veder indebolita la sua alleanza terapeutica, già di per sé non scontata proprio per la condizione particolare di questi pazienti che non accedono alla psicoterapia con una propria domanda di aiuto, ma su invio di uno o più medici/sanitari ai quali si sono rivolti per un problema di algie generalizzate.

Un paziente troppo invaso dal sintomo somatico, comprensibilmente, non può lavorare proficuamente in psicoterapia, da qui la frequenza di prematuri drop-out dalla terapia.

Per prevenire questa impasse torniamo a sottolineare il ruolo della presa in carico multidisciplinare del paziente con fibromialgia, come visto in precedenza.

Questo significa che il terapeuta, al cospetto di un paziente con una problematica algica quale è la FM, deve imparare a “uscire” dal proprio setting, dalla realtà protetta del proprio studio, per aprirsi ad una vera e propria terapia integrata che veda non solo la presenza simultanea di farmacoterapia, riabilitazione motoria e psicoterapia ma anche la possibilità di un confronto attivo tra figure professionali diverse, soprattutto nei momenti di acutizzazione delle algie.

In questo modo il paziente con dolore cronico, seguito attraverso un lavoro di rete efficace, non avrà la sensazione di portare avanti in parallelo più interventi sanitari frammentati e poco articolati tra loro, ma avvertirà intorno a sé una rete di curanti che sa interagire e mettere in circolazione saperi, esperienze e osservazioni sull’andamento globale della sua cura.

Questo può realmente fare la differenza rispetto alla prevenzione del drop-out in psicoterapia ed è importante che la clinica psicologica si soffermi sulle caratteristiche di questi percorsi psicoterapeutici, che per certi versi devono trovare dei nuovi linguaggi e rinnovati strumenti teorici e tecnici per potersi dipanare, sapendo accogliere le impasse strutturali cui sono soggetti.

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