Lorenzo Castelli, psicologo e psicoterapeuta – Studio RiPsi
Nadia Scaltrito, psicologa esperta in neuropsicologia

La neuropsicologia

Negli ultimi anni, lo studio dei disturbi psichiatrici è stato sempre più solidamente supportato dalla neuropsicologia, soprattutto a fronte delle recenti scoperte che indicano come molti di questi disturbi possano avere una base neurobiologica. La neuropsicologia dei disturbi psichiatrici, tuttavia, incontra dei problemi specifici, in quanto lo stato cognitivo dei pazienti, anche se collaboranti, non è di facile misurazione: il tono dell’umore e la motivazione del soggetto, ad esempio, risultano tutt’altro che costanti, ed avendo una forte influenza sulla prestazione nei test cognitivi, possono inficiare i risultati del test stesso. A questa difficoltà si aggiunge l’eventuale assunzione di psicofarmaci, i cui effetti acuti e cronici costituiscono un’importante fonte di variabilità (Vallar, Papagno, 2018). Queste criticità sono particolarmente evidenti nei casi di disturbo dello spettro autistico (Autistic Syndrome Disorder, ASD) caratterizzato, come riportato nel manuale diagnostico DSM-5, da deficit persistenti nella comunicazione e nell’interazione sociale, insieme a modelli di comportamento, interessi o attività̀ limitati e ripetitivi.

Lo Spettro Autistico

Il termine “autismo” fu utilizzato per la prima volta nel 1911 dallo psichiatra svizzero Bleuler per descrivere il profondo distacco dalla realtà̀ a favore esclusivamente del proprio sé, che si osservava in alcuni pazienti schizofrenici. Successivamente fu ripreso da Leo Kanner (1943) e da Hans Asperger (1944) che, indipendentemente l’uno dall’altro, pubblicarono i primi studi su questo disturbo, riportando la descrizione di diversi casi clinici. Attualmente, secondo le Linee Guida del Ministero della Salute, l’autismo è definito come “una sindrome comportamentale causata da un disordine dello sviluppo, biologicamente determinato, con esordio nei primi 3 anni di vita. Le aree prevalentemente interessate da uno sviluppo alterato sono quelle relative alla comunicazione sociale, all’interazione sociale reciproca e al gioco funzionale e simbolico”. Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali prevede due aree sintomatologiche, l’area delle competenze socio-comunicative e l’area degli interessi ristretti e delle stereotipie. Sebbene i sintomi possono essere evidenti a partire dai primi anni di vita, gli individui con ASD (in particolar modo quelli ad alto funzionamento, ovvero che non presentano ritardo mentale) possono arrivare all’attenzione dei clinici molto più avanti, in relazione alla severità̀ dei sintomi, alle capacità di adattamento, alle norme culturali previste dal funzionamento sociale e al grado di supporto sociale. Questo significa che, molto spesso, i sospetti casi di ASD arrivano all’attenzione dei clinici senza una diagnosi e, di conseguenza, nelle fasi peculiari dello sviluppo, cioè dalla scuola secondaria di primo grado in poi, non possono contare sul supporto adeguato che sarebbe loro necessario, sia per quanto riguarda l’aspetto prettamente cognitivo, ma anche e soprattutto rispetto a ciò che caratterizza gli aspetti sociali e di relazione col gruppo dei pari. Questi ragazzi sono generalmente descritti come molto eccentrici, maleducati e irriverenti, quando in realtà alla base c’è un comportamento cognitivo e comportamentale peculiare che riflette la loro diagnosi. Nel periodo compreso tra i 18 e i 30 anni circa, gli individui normotipici esplorano vari possibili ruoli da adulto nel lavoro, nelle relazioni e nelle situazioni di vita, accettano con grande ottimismo di essere responsabili verso se stessi, prendono decisioni in autonomia e diventano economicamente indipendenti. I giovani adulti con ASD, invece, potrebbero sperimentare ansia e paura, e la loro qualità di vita (misure obiettive e soggettive di benessere emotivo, sociale e fisico) è spesso molto più bassa rispetto ai pari normotipici: gli ostacoli principali sono una cognizione sociale deficitaria e una chiara compromissione delle funzioni esecutive, un funzionamento intellettivo ai limiti e, in alcuni casi, una possibile comorbilità medica o psichiatrica. Una completa e corretta valutazione neuropsicologica risulta pertanto fondamentale, soprattutto in alcuni momenti critici nei percorsi di vita dei soggetti (l’accesso all’università, l’entrata nel mondo del lavoro), per permettere di costruire un progetto che li possa accompagnare, supportare e sostenere nella loro crescita personale e relazionale, un progetto che tenga conto sia delle loro abilità e potenzialità, ma anche delle fatiche e dei deficit legati all’autismo.

La valutazione neuropsicologica del giovane adulto

La valutazione sintomatologica dei pazienti con ASD ha un’ampia letteratura di supporto in età infantile, ma poche indicazioni scientifiche per l’età adulta: una questione critica che è rimasta prevalentemente irrisolta riguarda l’identificazione dei domini cognitivi che sono più gravemente compromessi negli adulti con diagnosi di ASD. La ricerca esistente si è concentrata in gran parte sulle menomazioni di due abilità cognitive: la prima fa riferimento all’incapacità di attribuire stati mentali, credenze, intenti a se stessi e agli altri per comprendere le loro azioni, nota anche come teoria della mente (Theory of Mind, ToM); la seconda riguarda le menomazioni nella disfunzione esecutiva come la pianificazione, la flessibilità cognitiva e l’inibizione. Tuttavia, una gamma più ampia di domini cognitivi sembra essere alterata, inclusa la memoria di lavoro, la velocità di elaborazione, l’attenzione e l’apprendimento verbale. In generale, la valutazione neuropsicologica si basa sulla raccolta dell’anamnesi e dei deficit eventualmente riferiti dal soggetto, così come sull’osservazione clinica: il primo aspetto da indagare nel giovane adulto con ASD ad alto funzionamento è un possibile disturbo del linguaggio. Seppur l’autismo ad alto funzionamento si caratterizza per una acquisizione del linguaggio apparentemente normale, in realtà l’area e le competenze linguistiche nell’adulto con ASD dovrebbero richiedere una valutazione neuropsicologica specifica. A volte, infatti, valutato nell’infanzia o durante l’adolescenza, il linguaggio appare integro, mentre il colloquio clinico con l’adulto spesso mette in luce deficit di linguaggio in termini comunicativi, proprio perché la capacità di utilizzare lo strumento linguistico richiede competenze articolate su più piani, che includono sia le funzioni del linguaggio sia più complesse capacità di attivare processi comunicativi, come ad esempio le competenze metacognitive o i piani inferenziali e di regolazione dell’interazione tra i parlanti.  L’aspetto successivo è la valutazione a livello neuropsicologico dell’intelligenza: se esclusivamente associata al concetto di QI, può risultare poco informativa rispetto al reale funzionamento cognitivo del soggetto ASD e, a volte, può anche fornire risultati forvianti e stigmatizzanti. Il QI viene calcolato attraverso la somministrazione della Wechsler Adult Intelligence Scale (WAIS- IV): riconosciuta a livello mondiale come strumento per calcolare il QI ed avere una misura dell’intelligenza, permette di distinguere tra intelligenza verbale e intelligenza non verbale. Come tutte le scale, deve essere utilizzata con prudenza, perché può sottostimare l’intelligenza degli individui con ASD, e i risultati vanno sempre interpretati con cautela per evitare stigmatizzazioni e conclusioni ingannevoli. Ad esempio, si sono registrate alcune differenze legate al sesso: i maschi avrebbero maggiori abilità verbali, mentre le femmine migliori prestazioni nella velocità di elaborazione e nelle funzioni esecutive, che permetterebbero loro di “mascherare” meglio i sintomi e i deficit legati all’ASD. L’analisi del profilo cognitivo è di gran lunga più importante della “semplice” misurazione del QI complessivo: le prestazioni del paziente dovrebbero sempre essere interpretate a un livello più sottile in relazione alle sue rispettive condizioni di vita, e le singole funzioni cognitive e i loro processi sottostanti andrebbero valutati in modo più puntuale ed approfondito, così da poter personalizzare ed orientare le misure di supporto in base alle reali esigenze del paziente. Un altro aspetto da valutare è l’attenzione, funzione neurobiologica che permette di selezionare continuamente gli stimoli più importanti che derivano dall’ambiente, sia interno che esterno all’individuo, in modo tale che le risorse attentive, di per sé limitate, possano essere adeguatamente distribuite fra i vari compiti a cui si è sottoposti quotidianamente. I soggetti con ASD presentano di frequente anomalie nel funzionamento attentivo, spesso in comorbilità con ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder, disturbo da deficit di attenzione e iperattività): l’adattamento dell’individuo all’ambiente risulta essere meno efficace rispetto ai soggetti normotipici, e le anomalie attentive inducono stress, fatica e rallentamento generalizzato nel funzionamento dell’individuo. Infine, anche la memoria deve essere ben indagata all’interno di una valutazione neuropsicologica che caratterizza un soggetto con ASD perché, a fronte di una letteratura o di una filmografia che ci mostrano soggetti particolarmente geniali, i risultati delle ricerche hanno dimostrato la presenza di deficit nelle capacità di memoria nei soggetti con ASD, collegate ad anormalità nell’ippocampo e in altre regioni cerebrali cruciali per l’utilizzo di adeguate strategie di immagazzinamento delle informazioni, come l’amigdala e le aree frontali. In particolare, in diversi pazienti è risultata essere deficitaria la memoria di lavoro, ovvero quella componente che permette, essendo un’interfaccia tra attenzione e memoria, di mantenere le informazioni attive per il tempo necessario ad effettuare delle operazioni cognitive complesse, determinando in sostanza tutto ciò che è alla base dei processi di apprendimento.

Il limite dei test

Nonostante l’importanza di una approfondita e completa valutazione neuropsicologica, la stessa incorre nel limite di utilizzare dei test che non soddisfano i criteri di validità ecologica, ovvero nonostante siano dei test efficaci e standardizzati, non possono dare indicazioni di ciò che accade fuori dall’ambulatorio in cui vengono somministrati. Questo limite è particolarmente evidente nei casi di autismo ad alto funzionamento, dove spesso arrivano notizie di genialità che non trovano riscontro nei risultati dei test, o viceversa: ciò comporta il rischio di progettare dei percorsi che tendono a sovrastimare o a sottovalutare le abilità del soggetto con ASD. È chiaro che gli strumenti utilizzati soddisfano la necessità di standardizzazione e di valutazione efficace e scientificamente attendibile, ma è necessario fare attenzione a non identificare un risultato ai test con la reale esperienza dell’individuo. I risultati ai test sono solo una piccola parte delle informazioni che la valutazione neuropsicologica può e deve fornire al fine di poter costruire dei percorsi di vita personali, sociali e lavorativi adeguati al funzionamento specifico di ogni singolo individuo con diagnosi di spettro autistico, in particolar modo se ad alto funzionamento.

References

American Psychiatric Association, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders. 5th ed. Arlington, VA: American Psychiatric Association; 2013.

Asperger H.,  Die “Autistischen Psychopathen” im Kindesalter. Arch Psychiatr Nervenkr; 117: 76-136; (1944).

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Baron-Cohen S., I geni della creatività. Come l’autismo guida l’invenzione umana, Raffaello Cortina Editore, 2021.

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Grandin, T., Visti da vicino: il mio pensiero su autismo e sindrome di Asperger, Erickson, (2014)

Kanner L., “Autistic disturbance in Affective Contact, Nervous Child, 1942-3, 2, 217.250.

Vallar G., Papagno C., Manuale di psicologia clinica. Clinica ed elementi di riabilitazione, Il Mulino, 2018.

Volkmar F., McPartland J., La diagnosi di autismo da Kanner al DSM-5, Erickson, 2014

Zwaigenbaum L, Penner M., Autism spectrum disorder: advances in diagnosis and evaluation. BMJ. 2018; 36: k 1674.

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