Alice Quadri
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una maggior attenzione verso tutto ciò che costituisce una dipendenza: gambling (gioco d’azzardo e slot machines), droghe e sostanze stupefacenti, internet e tecnologia, e alle relative proposte di interventi finalizzati alla risoluzione di tali comportamenti che mettono la persona, e chi gli sta intorno, in una condizione di sofferenza e di pericolo.
Tuttavia, se per tutto ciò può essere trovata una “sostanza” nociva, dal punto di vista degli affetti e delle relazioni così immediato non lo è.
Capita a volte che le persone vivano la propria storia d’amore con prevalenti stati di insoddisfazione, paura dell’abbandono, angoscia, sofferenza. L’autostima è sotto le scarpe e si ha la sensazione di non valere niente.
In fondo, non ci si fida del proprio partner, si richiedono continue domande sui propri dubbi “Hai un’altra/o?”, “Sono importante per te?”, “Mi ami ancora?”.
Quando non si è con lui/lei si avverte molta ansia, ma poi, quando è li con noi, si prova angoscia e un senso di vuoto che nulla sembra in grado di colmare.
Ci si sente legati al proprio partner non tanto perché lo si ama, o si crede di amarlo, ma perché la prospettiva di stare da soli fa talmente tanta paura che non si può neanche immaginare e quindi si configura uno stato di assoluta dedizione che porta a dipendere direttamente dall’altra persona escludendo tutto il resto.
Se tutto ciò risulta familiare allora è probabile che si sia instaurata una dipendenza affettiva, un complesso schema relazionale che implica una distorsione della propria immagine e dell’altro, tale per cui si oscilla tra il desiderio di conservare quella piccola parte di amore guadagnato e il terrore della solitudine.
Ci si aggrappa letteralmente all’altro con la speranza di essere “salvati” o, al polo opposto, di distanziarsi dalle relazioni, poiché si cerca di tenere a bada la paura e l’angoscia dell’abbandono in virtù del proprio bisogno di completamento che viene ricercato nell’altro e non dentro se stessi.
Tale situazione trae le sue origini dalla propria storia di vita e soprattutto in rapporto alla relazione con le proprie figure di accudimento (genitori, caregiver, ecc.).
Tuttavia, grazie ad un percorso terapeutico che sappia accogliere il bisogno della persona e le relative angosce, è possibile aiutarla a ritrovare dentro di se quella solida base sicura che, tanto disperatamente, la lega all’altro.
Gli obiettivi mirano all’acquisizione della consapevolezza dei propri limiti e bisogni al fine di cambiare l’immagine di se stessi e migliorare il proprio rapporto con l’altro e instaurare, finalmente, una relazione intima, reciproca e non più dipendente.
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